La danza dal di dentro. Riflessioni ispirate all'opera di Mark Rothko
Di recente abbiamo potuto visitare la splendida mostra dedicata a Mark Rothko presso la Fondazione Louis Vuitton a Parigi e camminando fra le grandi tele dell’artista americano ci siamo concessi alcune divagazioni su quello che potrebbe essere la danza e forse non è ancora.
Ma prima di parlare di danza, ci teniamo a sottolineare come Mark Rothko sia un pittore meravigliosamente americano, desolato e squadrato, soprattutto nei suoi primi lavori, quelli meno famosi, che per certi paesaggi e stati d’animo ricordano Edward Hopper. Quei primi lavori che sono i mattoni di una ricerca che lo porterà poi a quelle grandi tele che sono fra gli esiti più originali nell’ambito dello spazialismo.
L’opera di Rothko vorrebbe essere per noi l’ esempio di come l’arte non solo si possa rivolgere al di dentro e pescarvi ispirazioni, ma possa ambire a dipingere quello stesso “di dentro” o, nei casi che ci riguardano, a danzarlo. Ma procediamo un passo alla volta.
Nella corrente dell’espressionismo astratto definita spazialismo la tela occupa un ruolo fondamentale proprio in quanto spazio da riempire . E il fatto di riempire questo spazio, e soprattutto la modalità con cui ci si confronta con questo problema, è stata da sempre la cifra degli spazialisti . La loro ricerca figurativa infatti va’ di pari passo con la propria ricerca interiore, o meglio con la ricerca di uno SPAZIO interiore, di un luogo, e quindi, conseguentemente, con la raffigurazione di questo spazio. Non si dipinge più esattamente l’anima, insomma, ma si prova a prenderne le misure. Non l’essenza quindi, ma l’ampiezza, la larghezza e la profondità.
Allo stesso modo Rothko, collocandosi in questa tradizione attinge alle proprie risorse interiori per arrivare a raffigurare spazi. E questo movimento dal dentro al fuori, significa esplorarsi dall’interno e portare in superficie le proprie scoperte.
Il movimento è quindi sfacciatamente verticale, oltre che dal dentro al fuori, quasi dal basso all’alto e sicuramente dall’interno all’esterno . Come detto, tale ricerca si colloca nell’ottica di una linea artistica più ampia che ha riguardato diversi artisti e che nella storia dell’arte contemporanea si è occupata della rappresentazione della profondità. In particolare il solco più ampio è quello dell’espressionismo astratto, che possiamo descrivere non solo come un tipo di raffigurazione pittorica, ma come un’avventura entusiasmante della ricerca umana sul linguaggio.
In questo senso Rothko trova i propri predecessori in due grandi maestri quali Jackson Pollock e Lucio Fontana, che con le proprie opere hanno riflettuto in modo nuovo sul concetto di profondità. Quello che infatti era stato un problema esclusivamente ottico o comunque figurativo , dare l’illusione di andare “dentro” al quadro, con loro si è trasformato in un problema interiore. La rappresentazione della profondità nel quadro è divenuto il problema di una raffigurazione spirituale: di una quinta dimensione (l’interiorità) che coincide con la terza (la profondità di campo). E se in Pollock l’astrazione era diventata un magma che risucchiava tutto, compreso chi guardava i dipinti, con Fontana si era arrivati al gesto limite di bucare la tela . Fino ad arrivare a Rothko, in cui questa ricerca diventa un andare nel fondo degli abissi per riportare a galla qualcosa, e restituire così al pubblico uno spazio trovato.
Chissà, ci domandiamo, se allo stesso modo possa esistere una danza in grado di andare in fondo , di attingere alle origini del gesto e portare fuori, di pescare dagli abissi e dare alla luce. In un gesto che prima ancora di diventare movimento sia in grado di trovare la propria spinta in un luogo interiore , in un movimento antecedente, che lo precede, un movimento sublime e invisibile agli occhi. Un’immobilità intesa come una stanza nel profondo da raggiungere, da cui poi tutto sgorga, se lo si vuole . Come certi arti marziali che insistono sul fatto che il movimento nasca dall’ immobilità.
C’è un attimo, prima di decidere di muoversi. È lì che occorre saper stare.