La figura mitica di Draupadi e la danza dei tessuti 


Le nuove direzioni di Cross sono quelle di trovare l’essenza e cercare i momenti  in cui la danza diventa pretesto, veicolo per qualcosa che assomiglia a un’elevazione interiore.

Così, alla ricerca di quella scintilla che connette la danza alla sacralità, il viaggio di Cross è diventato sia verticale sia orizzontale, muovendosi fra le forme della danza e verso le origini di questa. Abbiamo connesso Oriente e Occidente, e ci siamo rivolti allo studio dei poemi epici e dei testi antichi soprattutto di estrazione orientale, per trovare i nessi più significativi che unissero l’arte e la spiritualità. E seguendo questa traccia siamo andati a cercare figure cardine, che in qualche modo unissero questi due mondi.

Così ci siamo imbattuti in Draupadi. La sposa mitica dei cinque fratelli Pandava, danzata in tante forme ed emblema di resilienza, raccontata nel Mahabharata.

Ma andiamo con ordine.

Il Mahabharata è un  poema epico indiano che per la lunghezza smisurata pare rappresenti il più esteso poema mai scritto. La sua stesura risale ad un’epoca imprecisata persa nei tempi, all’epoca delle invasioni degli Ari. Tale testo, oltre a rappresentare un punto di riferimento imprescindibile per la cultura indiana e induista, grazie alla rivisitazione di Peter Brook del 1975 ha condizionato fortemente il teatro contemporaneo e ha rappresentato un ponte non soltanto fra il mondo dell’arte e quello della spiritualità, ma anche fra Oriente e Occidente. 

Ovviamente qui a noi interessa il suo legame con la contemporaneità e le forme d’arte che sono sgorgate dalla sua rivisitazione. La rilettura di Brook infatti prima di tutto ha posto l’attenzione sulla contaminazione avvenuta fra un testo antico, cardine della mitologia indiana, e l’interpretazione di questo attraverso un occhio occidentale. Già qui infatti, in questa sovrapposizione culturale, è avvenuto il primo incrocio interessante, la prima somma di sensibilità diverse, come del resto spesso accade nella post modernità dove gli strati di un’opera si sovrappongono e il concetto stesso di sovrascritture diventa regola.

Inevitabilmente l’opera nelle mani di Brook e del suo sceneggiatore Jean-Claude Carrière, peraltro già sceneggiatore di Luis Bunuel, è divenuta una riflessione universale su valori appartenenti alla civiltà umana quali desideri, intrighi, giochi di potere e di politica. E così il Mahabharata è diventato un testo per riflettere sul presente, oltre a un campo di applicazione formidabile dove Brook ha potuto mettere in campo in maniera mai così assoluta il suo lavoro sugli attori che, provenendo dalle ricerche grotowskyane, implicava necessariamente il lavoro sulla persona , entrando nel campo dell’anima e delle intimità dell’attore per “rovistarla”.

A questo riguardo Mallika Sarabhai, l’unica indiana del cast, e l’unica come lei stessa dichiarò a conoscere approfonditamente lo sterminato testo del Mahabharata, ha rilasciato dichiarazioni emblematiche, in cui racconta la sua “lotta” con Brook su ogni passaggio, in un coinvolgimento spesso doloroso, ma profondamente arricchente.

Sono state le influenze del teatro di Jerzy Grotowski, ma anche delle teorie di Gurdjieff , a influenzare la modalità “invasiva” con cui Brook si rivolgeva agli attori, chiedendo esplicitamente che la loro esperienza teatrale divenisse un’esperienza umana, intima, sconvolgente, e soprattutto trasformativa, e successivamente chiedendo che questa esperienza umana si riversasse sulla scena, in qualche modo per essere donata.

Come un viaggio da dentro a fuori, quel tipo di viaggio che Cross cerca e che abbiamo visto potersi esprimere nella danza quando diventa collegamento con la trascendenza. Un lavoro che fa sì che il gesto sgorghi da una ricerca interiore che sta a monte, e che fa della restituzione sul palcoscenico l’esito ultimo di un viaggio molto più complesso.

E’ quindi sulla figura di Draupadi, o meglio sul nesso fra questo personaggio e l’attrice Mallika Sarabhai, che vogliamo soffermarci, in particolare sul suo rappresentare altro in un rimando di significati: Draupadi come baluardo di resilienza, di coraggio e di emancipazione, inscindibilmente legata alle attività che Mallika Sarabhai ha sempre svolto nella vita privata battendosi per i diritti delle donne e facendosi portavoce in India di un modo di pensare e di sentire sfacciatamente anticonformista. Ma soprattutto  sul legame potente fra attore e personaggio che fa sgorgare un’arte sacra, perché vera, sentita, potente, e soprattutto profondamente umana. E qui è davvero interessante osservare come Brook attraverso il suo lavoro sull’ “uomo attore” abbia preservato la sacralità facendola passare per altre vie, quella sacralità che era già parte integrante del testo del Mahbharata ma che con lui diventa nuova, riscritta, e quindi contemporanea. Come se il testo sceneggiato da Carriére e portato in scena dagli attori, o per meglio dire incarnato dagli attori, acquisisse una seconda sacralità, espressa proprio attraverso la loro esperienza umana. Quel testo che gli attori , per rappresentarlo secondo il volere gurdjieffiano di Brook, hanno messo in gioco se stessi, rendendosi disposti a perdersi e a “farsi battere come spighe” per lasciare che il maestro/regista tirasse fuori da loro l’essenza.

Questa è una modalità che, se non sempre consente di mettere in scena il sacro, quantomeno implica inevitabilmente il cercarlo. Ed è una modalità che poi , in senso assoluto, ben oltre il Mahbharata , lega il teatro al sacro nell’epoca contemporanea. La stessa modalità che fa si che la danza moderna affondi le sue radici nell’interiorità del danzatore, in una ricerca interiore volta ad attivare qualcosa, o nei casi più elevati volta a “collegare” il danzatore a qualcosa.

Sempre a proposito di danza del resto c’è un momento, un attimo,  nella trasposizione cinematografica del Mahabarata (diretta dallo stesso Brook e realizzata nel 1989), che poi in realtà è anche un momento centrale dell’intera storia raccontata nel poema, in cui Dushasana cerca di spogliare Draupadi, umiliandola pubblicamente. Essendo stata trascinata alla corte dei malvagi Kaurava, Dushasana le si avvicina e prendendole un lembo della veste prova tirarglielo, ma Krishna per fermare quell’umiliazione interviene e allunga a dismisura il vestito di Draupadi, tanto che Dushasana continua a tirare all’infinito fino a rimanere sepolto dallo stesso tessuto.

La storia di Draupadi, e in particolare questo momento, è stata rappresentata in svariati spettacoli di danza, di tutte le tradizioni indiane, dal Bharatanatyam, al Kathakali, al Kuchipudi,  ma questo passaggio nel film di Brook incanta lo spettatore, per la commistione di lavori che si sovrappongono ,  per gli occhi infuocati e splendidi di lei, per lo scandalo che trasferisce nei suoi lamenti che è lo scandalo di tutte le donne umiliate, per la verità che traspare, per il gioco coreografico dei tessuti, per l’accenno di danza all’interno di un momento drammatico inserito dal regista con una scorrevolezza magistrale.

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